Export di beni industriali: perchè è schiacciante il canale diretto?
- Ing. Alberto Scanziani
- 10 lug
- Tempo di lettura: 2 min
Aggiornamento: 8 set

Il recente Rapporto Indagine Internazionalizzazione 2025 fatto da Assolombarda su un campione di 1012 aziende (dalle micro alle grandi) ha evidenziato come per l'export dei beni industriali il canale diretto sia la quasi totalità del business con l’estero.
Scrive Assolombarda:
“Il 95,5% delle imprese intervistate effettua esportazioni e il 58,5% importa materiali e componenti, cui si aggiunge un 8,6% che dall’estero acquista impianti e tecnologie. Rimane ridotta la presenza tramite filiali commerciali e negozi direttamente gestiti (7,2%), così come la produzione con propri stabilimenti (6,2%) e le attività svolte tramite uffici di rappresentanza (4,4%). Ancora meno comuni, con quote di attuazione intorno o inferiori all’1%, sono le joint venture per vendita e/o produzione all’estero, la produzione affidata in licenza e il franchising”.
il 72,8% delle imprese manifatturiere utilizza esclusivamente canali di vendita diretta, solo il 2,1% ricorre unicamente alla vendita indiretta tramite intermediari
Nell'immagine di copertina è riportata la situazione del campione di aziende bergamasche.
Proviamo a fare un ragionamento sull’utilizzo dei canali diretto ed indiretto:
Il canale diretto si usa principalmente quando:
il bene è realizzato su commessa (o a disegno) ed è rivolto a un costruttore (caso tipico della subfornitura, che è conteggiata a parte nel Rapporto in ragione del 5,8%);
i beni sono standardizzati e non hanno diffusione territoriale, in quanto venduti agli OEM come parti dei loro prodotti finali; gli OEM sono gestiti dai KAM aziendali;
i beni hanno importo molto elevato (macchinari, impianti) per cui la vendita non passa dall’intermediario, semmai servono centri di assistenza locali a supporto
segmenti di alta tecnologia (aerospace, ferroviario, automotive, energy-power etc) rivolti a Premium OEM
Il canale indiretto si usa principalmente quando:
il bene deve raggiungere capillarmente il Territorio, per cui serve una rete distributiva locale, più o meno strutturata;
occorre una conoscenza approfondita del Territorio, delle abitudini di acquisto, gusti etc
è necessario garantire assistenza e ricambistica in tempi celeri ad opera dell’intermediario;
serve uno stoccaggio dei beni sul Territorio, la consegna veloce è un must;
beni B2C
Lo squilibrio evidenziato dal Rapporto è davvero impressionante e fatico a dare una spiegazione; a meno che in Lombardia il contesto industriale sia fortemente sbilanciato in una precisa direzione. Strano però…
Preferisco porre delle domande e lasciare che ciascuno si dia una risposta in base alla sua esperienza aziendale:
c’è scarsa conoscenza dei mercati target e scarsa mobilità sui Territori?
si fa fatica a trovare validi intermediari?
c’è poca fiducia o capacità di gestione degli intermediari?
ci sono pochi area manager interni in grado di monitorare più Territori?
c’è una rilevante percentuale di vendite attraverso canali digitali? (sembrerebbe però di no secondo una sezione specifica dell’indagine)
il raggio dell’azione commerciale è corto (area UE) per cui non sono serviti Territori remoti, che giocoforza necessitano di rete vendita locale?
O forse è largamente preponderante la tipologia di beni B2B rispetto a B2C (quest’ultima ha bisogno intrinsecamente di canali distributivi).
Comunque sia non valuto positivamente questo eccessivo sbilanciamento: ritengo che in un contesto di caos totale della congiuntura ci voglia un approccio commerciale meno sbilanciato e, quindi, dotato di maggiore flessibilità.
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